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Francesco Ranaldi. L'archeologo della preistoria lucana

Ricordare Francesco, "Ninì", Ranaldi è un po' come ripercorrere la storia della ricerca archeologica in Basilicata: un lavoro fatto in gran parte con il cuore e con le gambe, oltre che con il ragionamento. Ancora oggi, individuare in certe zone della regione siti archeologici nascosti è più una questione di intuizione e di polmoni che di tecnologia, nonostante tutti mezzi messi a disposizione dalla tecnica moderna.

Francesco lavorava immergendosi completamente per giorni nei suoi monti, nelle forre, in mezzo alla vegetazione, a contatto con una aspra e bella natura, dove la passione per l'antico si mischiava con il suo essere artista e poeta. È difficile non farsi trasportare dalle emozioni ricordando un ricercatore e un amico, che dei sentimenti aveva fatto una ragione di vita.

Quando, in un agosto dei primi anni '70, ancora studente mi trovavo ad attendere il direttore del Museo archeologico provinciale di Potenza con il quale avevo appuntamento a Castel Lagopesole, mi guardavo attorno cercando un'auto blu con dentro un accaldato accademico.

Non vedendo nessuno che potesse somigliargli, mi rivolsi ad un signore coi baffi con un vistoso fazzoletto rosso al collo. Per il suo abbigliamento informale, simile al mio, i suoi stivali in pelle e gli abiti militari, mi attirava più degli altri. Spiegai cosa stessi facendo domandandogli se avesse notato qualcuno in attesa o un automezzo dell'Amministrazione provinciale. Ridacchiando mi svelò chi fosse. Non fu necessaria una grande intuizione per capire che avevo davanti una persona speciale. Generoso, permaloso, sognatore, irascibile, curioso, acuto, allegro ma spesso pensieroso, ansioso di conoscere e di mettere a disposizione le proprie conoscenze e di confrontarle; tanto modesto e fiducioso da affidare nelle mani di altri le proprie scoperte e soprattutto quella più grande di "Tuppo dei Sassi".

Quelle splendide pitture ed il sottostante insediamento, che costituiscono un importante riferimento della preistoria italiana, oggi giustamente portano il suo nome, "Riparo Ranaldi", a ricordo della intuizione e tenacia con cui ha sempre sostenuto la presenza di un insediamento umano nel sedimento sottostante alle pitture.

Francesco Ranaldi, archeologo

Nel settembre del 1966 la notizia del ritrovamento in agro di Filiano di pitture rupestri venne riportata sul London News. Tali pitture, in un riparo sotto la roccia, costituiscono per il tipo di scena, la disposizione delle figure e l'introduzione di vari soggetti una manifestazione di arte rupestre, rara in Italia. Gli scavi diretti dal Borzatti hanno riportato alla luce nel terreno sottostante un insediamento preistorico, associabile forse alle stesse pitture. Negli anni '70, nella stessa zona avvenne il ritrovamento di una serie di incisioni su roccia, sovrastante il riparo che accoglie le pitture databili alla fase finale del paleolitico.

Non fu soltanto questa la sua unica scoperta. Si possono citare altri siti archeologici, da lui scoperti e studiati, tra cui Serra di Vaglio. La scoperta, che risale al 1958, era di per sé importante per il ritrovamento e per la conoscenza delle fasi di dimorazione e, dunque, di vita e spiritualità antica, sui monti della parte più interna della provincia, prima del IV sec. a.C..

Sono da citare, inoltre, i siti archeologici di Pietragalla, Monte la Guardia, Brindisi di Montagna, Baragiano, Muro Lucano e Pescopagano. In particolare si possono menzionare gli insediamenti di Monte Moltrone, in agro di Oppido dove sono emersi i resti di un vasto insediamento risalente ad un periodo che va della prima Età del Ferro al II sec. a.C., ed un'interessante necropoli del IV-V sec. a.C.. Da segnalare è anche il recupero di uno dei frammenti mancanti delle famose Tavole bronzee cosiddette "Bantine" rinvenute già nel 1798.A contrada Carpine, in agro di Cancellara, scoprì una necropoli (la prima ritrovata intatta nel potentino) con tombe a fossa semplice, databile tra la fine del VI, inizio del V sec. a.C..Tra quel ricco corredo funebre venne individuata una classe di ceramiche a motivo geometrico, la cui sintassi decorativa richiama, stranamente, motivi presenti su manufatti dell'ultimo miceneo.Nello Stretto di Albano di Lucania individuò nel 1985 un monolite rappresentante probabilmente una enigmatica e grande effigie che sembra figurare un gigantesco volto, la cui interpretazione risulta ancora oggi controversa.

Pur in presenza di pochi e sporadici ritrovamenti preistorici, intuì la grande importanza, richiedendo l'intervento dell'Università di Firenze e battendosi perché le ricerche ottenessero finanziamenti da parte dell'Amministrazione provinciale di Potenza. In tal modo gettò le basi per quel lavoro di enorme rilievo scientifico che il gruppo di ricerca dell'Ateneo fiorentino sta compiendo oggi, nel bacino di Atella, di fondamentale importanza per lo studio della preistoria italiana.

A Francesco Ranaldi e ai suoi collaboratori si deve, inoltre, il primo allestimento della nuova sede del Museo archeologico provinciale realizzato nei pressi della vecchia sede museale.

Di lui amo ricordare la passione e la costante presenza che andavano ben oltre il senso del dovere; l'entusiasmo e l'amore che dedicava alla raccolta, alla cura e sistemazione di ogni piccolo reperto e, soprattutto, il suo rapporto informale e quasi paterno con i collaboratori, tanto da dare l'impressione che, in quella struttura museale, il rapporto umano fosse i l motore più forte per il suo funzionamento. In ciò si misura anche la valenza dell'uomo.

(tratto da BASILICATA REGIONE Notizie, 1996)