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Riparo sotto roccia con pitture preistoriche al Tuppo dei Sassi o Serra Carpino in agro di Filiano

Fino a due decenni addietro si poteva credere che in Italia non esistessero cospicue manifestazioni di arte rupestre paleo o mesolitica.

Del tutto marginali rispetto alle manifestazioni artistiche di questa età della Spagna e della Francia erano il bovide inciso di grotta Romanelli nelle Puglie o la figura schematica a ø dipinta sulle pareti dell'Arnalo dei Bufali presso Sezze Romano.

Nel 1949 si ebbe la prima sensazionale scoperta di un duplice complesso di figure incise e di figure dipinte in una grotticella della Cala dei Genovesi, nell'isoletta di Levanzo, nel gruppo delle Egadi ad Ovest della Sicilia alla quale Levanzo in queste lontane età ancora doveva essere congiunta. Seguì qualche tempo dopo (1953) la scoperta di un assai più complesso gruppo di incisioni nella Grotta dell'Addaura sulle pendici del Monte Pellegrino, presso Palermo, e successivamente quella di qualche altra figura di animali in altre grotticelle della stessa montagna (Grotta Niscemi) o del Trapanese (Grotta Racchio).

Ma solo di questi ultimi anni (1961) è la segnalazione di manifestazioni consimili anche nell'Italia peninsulare e cioè del bovide inciso su un masso del riparo del Romito presso Papasidero in Calabria (a cui oggi si è aggiunta anche qualche altra figura) e quella di pitture parietali (figure di cavalli e impronte di mani e di incisioni su ciottoli e su ossa nella Grotta Paglicci presso Rignano Garganico), mentre fin dal 1953 il Radmilli aveva scoperto un ciottolo inciso con figura di lupo nella grotta Polesini presso Tivoli.

Oggi una nuova importante scoperta viene ad aggiungersi a queste, in un territorio geograficamente intermedio fra Papasidero e Rignano Garganico: quella di una cospicua serie di figure umane e animali assai schematiche dipinte sulla parete di un riparo sotto roccia nell'agro di Filiano in provincia di Potenza.

Brevemente esponiamo i fatti che mi hanno condotto alla scoperta.

Nel corso di ricerche condotte tra il 1962-1964 su tutte le alture situate sul Bradano, sul Bradanello e i loro affluenti, al fine di poter individuare tracce di antichi insediamenti, si ebbe occasione di apprendere da alcuni pastori dell' esistenza di certe "iscrizioni" presenti su rocce site nel!' agro di Filiano. Nonostante le più attive ricerche effettuate in boschi fittissimi estesi per centinaia di ettari, non fu mai possibile poter ritrovare le cosidette "iscrizioni", anche perché le indicazioni dei pastori avevano tutte una consistenza generica relativa al sito ed al tipo dell’iscrizione. Di recente, a seguito di più sicure indicazioni ottenute dal Sig. Francesco Verrastro che nel passato coltivava terreni prossimi alla zona ove è avvenuta la scoperta, si è potuto dopo lunghe ed intense ricerche ritrovare le cosidette “iscrizioni" risultate poi, in realtà, delle pitture rupestri.

Tuppo dei Sassi è sito a 879 metri di altezza, in zona boscosa di proprietà Doria-Pamphili. La zona è caratterizzata da una ampia successione di poggi e di alture (altezza media m 700-750) generalmente coltivati sulle pendici ed in vetta coperti da fitti boschi di quercia. Tali alture si estendono lungo i due versanti del Brandanello la cui sorgente è a breve distanza, e verso Castelagopesole intorno ai Piani del Conte, estesa e fertile pianura, un tempo occupata da un lago le cui ultime acque furono prosciugate verso il 1945. Il Tuppo si innalza, ripido ed inaccessibile, con forti scoscendimenti sovrastando le alture circostanti.

Nella parte più impervia ed alta del Tuppo, ed alla quale si giunge (partendo dal villaggio di Carpino) dopo quasi un' ora di cammino attraverso uno stretto sentiero tracciato dagli animali, si presentano numerosi ed alti banchi di arenaria dura e tenace. Alcuni hanno la propria base in profondità, altri sono accumulati, in rovinoso ammasso, con posizioni che lasciano supporre una caduta dall'alto.

Riparo sotto roccia (riparo Ranaldi)

Sotto un riparo a volta naturale a forma di mezz'arco (alt. m 6), invaso dai rovi si distingue nella parete verticale di fondo un rettangolo lungo in senso verticale cm 65 e largo cm 52 sulla cui superficie, in parte sfaldata ai margini per l'azione secolare del gelo, appaiono dipinte composizioni di figure in folto assembramento. Uomini e animali: cervidi e capridi (sembra assai più difficile riconoscervi dei bovidi), illustranti una generica scena di caccia tutta sparsa senza alcuna coordinazione geometrica.  Due animali sono catturati e trattenuti al laccio (o forse invece colpiti con un’arma) da due uomini le cui forme sono delineate dalla sovrapposizione di due corpi ovali uniti da uno stretto e basso tronco. In una delle figure -l'ovale superiore ha continuità in basso con corte e basse appendici rappresentanti le braccia e in esso la testa è rappresentata da un corpo conico allargato - verso il basso (lungh. degli animali cm 18 quello inferiore; cm 16 quello superiore).

La stessa associazione di uomo e animale sembra ripetersi una terza volta in minori proporzioni in alto a sinistra. Questa volta però le due figure sono più distanziate e non collegate fra loro e quella umana ha una diversa schematizzazione a corpo cilindrico con indicazione delle braccia.

Fra il gruppo inferiore e quello mediano è un altro animale (lungh. cm 20) certamente un cervo, con corna che ricordano quelle di un alce. A destra di questo verso l'alto è una figura (lunga cm 23) meno facilmente comprensibile. Potrebbe trattarsi di un animale abbattuto coricato sul dorso e con le zampe all'aria, una vittima della caccia. Ma la figurazione è assai confusa anche a causa della patina sovrapposta e non è da escludere che si possano riconoscere le zampe dell'animale verso il basso. In tal caso i due tratti rivolti verso l'alto potrebbero essere interpretati come frecce o giavellotti che hanno colpito l'animale.

In alto, sempre a destra, è dipinta la figura più interessante: un grosso ente maschile alto cm 18 a tre corpi ovali sovrapposti formanti braccia gambe e testa: divinità o stregone? Altri animali più piccoli completano la scena che continua sopra alle figure descritte e, sulla parte destra, poco visibile, perché coperta da una scura patina. Tracce di altre figure sul margine delle sfaldature indicano che la scena doveva estendersi ulteriormente verso il basso e numerosi altri segni di interpretazione assai più dubbia, in rosso e in nero sembrano potersi riconoscere in altri punti della grotta.

Le figure della scena sono dipinte in ocra rossa di tono sul fondo della roccia (arenaria) preparata con ocra gialla.

Si tratta di figure assai schematiche e ravvicinabili per questa considerazione a quelle delle pitture di Levanzo, le quali escono quindi dall'isolamento totale in cui finora si trovavano.

In particolare alle pitture di Levanzo ci richiama la schematizzazione della figura umana in forma di violino o in forma di cilindro con indicazione più o meno accentuata delle braccia. Schematizzazione che ritroveremo nell'età del bronzo egea in idoletti di Troia e delle Cicladi, ma di cui anche alcune grotte della Spagna ci offrono significativi precedenti.

Assai interessante è l'intima connessione che ricorre ben tre volte, fra le figure umane e quelle degli animali, che l'uomo cattura o colpisce. Questa connessione che a Levanzo si poteva appena supporre in un solo caso (uomo e cane?) appare qui evidente.

Sarebbe forse ardito voler vedere nella progressiva riduzione delle dimensioni delle figure dal basso verso l'alto una intenzionale prospettiva aerea per cui non si tratterebbe di figure isolate, ma di una complessa scena d'insieme, e cioè della panoramica rappresentazione di una battuta di caccia il cui esito fortunato è assicurato dalla protezione di una divinità o dagli incantesimi di uno stregone, che è rappresentato in alto in proporzioni maggiori di quelle di tutte le altre figure.

Queste figure ci portano comunque in un mondo di cacciatori, in un ambiente che basa la propria economia sulla caccia organizzata, tribale, che a questa economia adegua le proprie credenze, i propri riti religiosi. Un mondo che difficilmente riterremmo di poter identificare con quello degli agricoltori e dei pastori del neolitico e dell' età dei metalli e che meglio sembrerebbe riportarci ad un precedente stadio culturale di tipo mesolitico o epipaleolitico.

Dati probanti per una più sicura e precisa datazione si potranno avere solo attraverso scavi sistematici che ci auguriamo possano presto essere eseguiti nel riparo.

 

 

Le incisioni rupestri di "Tuppo dei Sassi"

 

In località "Tuppo dei Sassi" abbiamo anche individuato una serie di incisioni presenti su una roccia sovrastante il riparo accogliente le pitture che, anche se in parte deteriorate, consentono, attraverso la ricostruzione grafica, una chiara leggibilità.

Il grosso banco di roccia di natura arenosa abbastanza compatta che accoglie le incisioni, ha forma di un triangolo isoscele con il lato maggiore di base di m 4,10 per m 3,50 di altezza ed uno spessore quasi costante di m 0,70.

Per particolari riscontrati nella posizione quasi adagiata sui massi ad esso sottostanti e per una frastagliata fenditura che attraversa la base in tutta la lunghezza, siamo indotti a credere che il masso nel passato, per cause naturali, sia stato divelto dalla sua originaria posizione probabilmente eretta (lungo tutto il pendio, così come al disotto del riparo, si evidenzia un rovescio, una rovinosa caduta di grossi massi avulsi da una loro naturale elevazione nel terreno). La parte superiore della roccia comprendente il vertice del triangolo risulta piena di sporgenze naturali e coperta da spessa e dura corteccia di licheni e muschi per la secolare esposizione agli agenti atmosferici, mentre la restante superficie, rimasta interrata sino a poco tempo fa, portata allo scoperto per raccolta di pietre occorrenti al tracciato di una mulattiera, appare libera da incrostazioni e da patine e priva di notevoli asperità.

Su questo spazio, in alto, a destra (S.O.) figura umana alt. cm 22 in posizione frontale con gamba destra portata in avanti e leggermente piegata in atteggiamento di corsa: ha corte braccia arcuate. Il sinistro sollevato in alto impugna una lancia, dardo o altro strumento appuntito; il destro invece, è tracciato nell'atto di scagliare altre lance (una a breve distanza dal braccio preceduta da altre due parallele) dirette in basso verso due cervidi (distanza dall'uomo cm 27). I due cervidi tracciati di profilo sono contrapposti quasi a contatto seppure ad un'altezza leggermente diversa. Alla loro destra, utilizzando un naturale rilievo della roccia da.: margine curvilineo, è stato ricavato il profilo di un animale colpito e riverso con le zampe rivolte in alto (ricorda l'animale abbattuto riportato con gli stessi movii=-_~:_:.[i e giacitura nelle pitture del riparo). A sinistra, in basso, serie di incisioni curvilinee profonde e di incerto significato seguite a breve distanza da altre incisioni desinenti a forma di V (forse corna di cervidi).

La figura umana (alt. cm 26) la cui testa è accennata da un cerchio poco profondo, è per il resto tracciata con un unico solco deciso profondo e continuo che ne determina il tronco e le gambe; le braccia, rese ben visibili dopo attenta pulizia (appaiono ben chiare nel calco cartaceo) hanno il loro punto di attacco con il corpo tra la testa ed il tronco. Particolare interessante che conferisce alla figura una vivacità espressa con immediatezza, è la gamba destra di ben 4 cm più lunga dell’altra portata in avanti con largo divaricamento che ben pone in risalto lo spedito movimento del cacciatore ancor più accentuato dal disarticolato, ma tanto espressivo movimento della gamba destra.

I cervidi (cm 18 lungh. per cm 15 alt. comprese collo e corna; cm 22 per 22) occupano la parte centrale della parete. Quello sinistro, immobile, è tracciato di profilo; corna di prospetto, alquanto lunghe, muso diritto. Un solo solco rileva parte del corno superiore, dorso e parte posteriore, un secondo solco determina l'altro corno, il muso, la parte anteriore e le gambe. Il ventre è delineato da un altro solco diritto e sottile. Il cervide di destra, ricavato intorno ad una leggera sporgenza della roccia, con incisione abbastanza profonda, ha il collo ed il capo protesi verso l'alto quasi a toccare il muso del suo compagno. È tracciato con la stessa distribuzione di linee, incompleto nella parte posteriore, avanza verso sinistra con spostamento in avanti della gamba destra. In entrambi gli animali non vi è accenno a descrizioni di altri elementi corporei.

Abbiamo descritto a parte le figure animali e quella umana, onde procedere ad un esame più attento delle caratteristiche proprie delle due classi. La figura umana, alta, dominante, colta nella rapidità tanto espressiva dell'incedere di sorpresa verso le ignare cerbiatte, è alterata nella forma sino a perdere un carattere decisamente veristico: - deformazione nell' allungamento della gamba, riduzione ed assottigliamento a linee essenziali del tronco e delle braccia - ha in fondo i caratteri propri delle raffigurazioni filiformi, vicina quindi se non altro per un episodico confronto a certe iconografie umane del l' arte pittorica della Spagna orientale nel suo periodo centrale (arcieri di Valtorta, cacciatori delle pitture di Gueva del Garroso, ecc.).

Le figure degli animali per la loro corporeità, volumi, movimento conservano caratteri che nel complesso richiamano espressioni in funzione naturalistica più che di idee, anche se v'è l'intervento di una esecuzione sintetizzante. Infatti, non può essere trascurata l'osservazione che di rigore spetta alla presenza in essi di particolari appartenenti alla trama narrativa ed illustrativa della fase naturalistica

Nel capride di destra, anche se goffamente ricavato, notiamo oltre alla snellezza elegante del corpo, l'atteggiamento del collo e della testa portata verso l'alto con un tracciamento espressivo in funzione di un'intenzione che è nella spinta creativa di molte raffigurazioni animali dell' arte rupestre paleolitica.

E’ tanto vale ricordare, così nella ricerca di confronti, le cerbiatte dipinte della grotta di Covalanas. Così pure, per l'animale di sinistra, non sarà eccessivamente fuori luogo accostarci, per la conduzione della linea distribuita e raccolta in uno stimolo geoometrico, al bue dell'Addaura.

Siamo convinti di quanto poco si possa basare ai fìni di una cronologia sugli elementi a nostra disposizione soprattutto perché non confortati da un risultato di scavo dall'isolamento delle raffigurazioni nella regione. Alla luce di una nostra personale immediata impressione, esse si presentano come un fatto libero da scuole e da tradizioni, così spontanee ed ingenue, sia per tratto che per narrazione da offrire più che altro solo analogie spirituali e rituali con altre manifestazioni similari facenti parte di ben determinate congiunzioni umane, di noti spazi di fecondazione artistica.

Riportandoci al graficismo delle figure: - resti di una realistica corporeità animale contrapposta alla sintesi lineare umana le cui alterazioni potrebbero essere pure attribuite all'imperizia dell' artista o alla funzionalità dello strumento in rapporto alla resistenza della materia (lontana però da un simbolismo o astrattismo neolitico), piccole dimensioni delle figure, utilizzazione di rilievi naturali per ricavarne forme, narrazione svolta sulla trama diremmo economica della caccia, assommiamo particolari che a nostro avviso, così, ad un primo esame, indicano arcaicità con spinte verso orizzonti paleolitici nella fase finale.

Al di sotto del Tuppo, lungo le scoscese pendici, il bosco si infittisce sino ad innalzare volumi di verde che appena lasciano intravedere spezzature di cielo. Nel continuare le nostre ricerche, finalizzate questa volta a localizzare ed esaminare un enorme masso che dall'alto del Tuppo, in direzione S.S.0., avevamo visto affiorare tra gli alberi, entrammo nella chiusa vegetazione, ove fu possibile avanzare solo aprendo con fatica tra rovi e rami spinosi tortuosi corridoi. Senza indugiare nel racconto di tanti imprevisti ostacoli e delle lungaggini della ricerche (per ben due volte passammo pochi metri dal masso senza vederlo, perché interamente occultato dalla cortina degli arbusti), pervenimmo finalmente sul sito ove esso sorge, isolato su un breve rialzo di terreno a quota 696 ed a circa m 700 in linea d'aria a S.O. dal Tuppo.

Il masso, che visto dall'alto sembrava ergersi come una solida formazione monolitica di forma tendenzialmente cubica con forte spinta verticale, si rivelò, invece, una volta giunti sul posto, solo un voluminoso informe banco di arenaria (alt. mt. 2,90 x mL 4,35 di lungh.) tendente in elevazione al piramidale, con arrotondamento orizzontale della cresta. Le pareti, specie quella di S.O., presentavano una superficie per nulla diritta e piana, ma attraversata in tutta la sua espansione da profonde fenditure e rientranze coperte da spessa patina grigia con sovrapposizione di larghe chiazze di licheni e muschio, il nostro primo incontro con il masso fu pertanto quanto mai deludente sia per la mancanza di un ipotetico monumentalismo, che per le fatiche sopportate. Tanto, però, non ci fece desistere, e perché eravamo ormai sul posto e per un fatto di congenita curiosità, dal prendere in esame tutta la struttura e conformazione esterna del masso e le numerose cavità in esso presenti che nelle nostre non ancora sopite speranze, potevano forse accogliere recondite letture o messaggi lasciati dai lontani signori della preistoria. Il banco di arenaria, affiorante dal sottosuolo, rivelò una tessitura omogenea abbastanza tenace a parte alcuni strati più teneri nelle cavità formatesi verso la base.

Nell'esaminare la parte più a noi accessibile, coperta come del resto tutto il masso dalla patina grigia penetrata pure nelle cavità, ad una altezza di m 1,75 dal suolo, quasi al centro del masso, su uno spazio alquanto piano, scorgemmo tracce di solcature o segni graffiti che nella loro disposizione sembravano preludere alla costruzione di una forma. Seguendo lo sviluppo e l'andamento del segno, la cui continuità si ritrovava al disotto del muschio, notammo che esso presentava un discorso di indirizzo lineare ricavato con una profonda incisione sulla roccia.

Ripulita attentamente la superficie dal muschio, fummo così in grado di potere ricostruire con un primo esame, una impressione circolare non dovuta a strane conformazioni naturali della pietra, ma ad un intenzionale evidente lavoro di incisione.

Al termine del lavoro di rilevamento ed evidentazione, ottenuto con disegni, fotografie e numerosi calchi cartacei, avemmo l'esatta stesura dell'incisione. Trattasi (ved. fot. e dis. n. 3) del tracciamento di una forma circolare, ossia di un vasto cerchio nelle proporzioni consentite dallo spazio libero (dim. cm 70 diametro nella massima espansione) - lievemente compresso, con rientranze e fuoruscita del segno in alcuni punti dovuti probabilmente alla resistenza della roccia allo strumento.

In altre parti, per fratture della roccia, il tracciamento ha interruzioni e riprende con precisa continuazione del movimento direzionale curvo sulla parte immediatamente solida. Al centro della stesura inferiore del cerchio, la linea subisce un'ulteriore sospensione o spezzettatura per l'inserimento dal di fuori, verso l’interno, di due profonde incisioni rette e parallele con leggero allargamento espansionale delle estremità inserite nel cerchio. Una concavità naturale conferisce all’area periferica interna della linea un rialzo quasi continuo a guisa di gradino e di rialzo. Infine il tracciamento dell'incisione è quasi costante nella sezione ed espansione, con un approfondimento di mm 4-5.

L'inaspettata presenza dell'insolito tipo di figurazione, pur con un contesto di ?recisa realtà spaziata e costruttiva e soprattutto tanto soggettiva, collocata in cospetto della natura, in una zona senza lascito di leggende, se non foschi racconti dell' epopea brigantesca, ci apparve lontana dalle leggi della visione. Con una enorme ricognizione nel passato tra bivi, deviazioni e sensi unici, cercammo termini comparativi diretti o prossimi, atti a consentire una possibile lettura interpretativa del solco rotondo.

Ma ad accrescere maggiormente il nostro stato di disorientamento e di fermento mentale, contribuì lo stesso masso, con il presentarci, su una parete che già avevamo minutamente esaminata, alcuni labili segni che, quasi come un tacito rimprovero, ci invitavano cortesemente a leggere in essi il proemio di un altro intero inedito discorso figurato tenuto sotto la coltre del muschio. Dalla apparente casualità dei segni, dopo alacre lavoro di rilevamento ecc., ottenemmo lo sviluppo di una immagine, o per meglio dire di una bozza informe tracciata con il gusto dell'impreciso per purtroppo precisi discorsi tenuti alla fine o all'inizio di una scomparsa curva del tempo.

L'incisione, (ved. foto e dis. n. 3) lungh. max cm 361argh. max cm 22 distante dal margine del cerchio cm 70 leggermente posta più in alto, nel suo faticoso itinerario di linee parallele, diritte curve descrive sul conquistato e umanizzato saliente roccioso una forma che, comunque osservata, tende ad un accentuato allargamento dell'area centrale vagamente richiamante uno schema triangolare o addirittura trapezoideromboide, con curvature angolari originata da coppia di linee parallele con tracciamento iniziale piano.

Una raffigurazione quindi, o impressione, essenzialmente lineare, in cui porremmo leggere lo straripamento di tutte quelle estreme espressioni concepibili in fatto di raffigurazione immaginativa, talmente estranee a qualsiasi realtà che qualunque ulteriore slittamento verso l'astrazione è addirittura impossibile.

Occorre, però una risposta che accontenti un po' tutti. Riportando l'immagine verso gli estremi di una permissiva logica purtroppo necessaria per l'apertura di un nostro discorso ad accessi interpretativi, in una prima pedissequa traduzione, potremmo vedere in essa una sintesi deformata di un' ascia o di un pugnale, simboli ricorrenti nelle raffigurazioni rupestri di un dato periodo della preistoria e protostoria. Se avessimo a che fare con detti strumenti, usati da tempo immemorabile, la questione sarebbe presto esaurita con una indagine di analisi tipo logica nelle zone ove detti simboli in contesti diversi sono più rappresentati e troveremmo forse anche il sottile legame che innegabilmente unisce la pseudo-ascia al solco rotondo ed il lievito per un abbondante racconto.

Noteremo innanzitutto, che nella compattezza dell'impressione v'è un contenuto di energia, una essenza di valori totemici che si svelano solo seguendo l'evidente risalto delle incisioni per trapassi essenziali, coadiutori di una accentuata attuazione di volontà di intenti devoluti alla sublimazione ed informazione di un corpo reggitore della presenza umana nel quadro delle vicende naturali e particolarmente richiesta nella situazione di vita della vecchia comunità di Tuppo del Sasso.

Levitata l'incisione dalla costrizione della materia e dalla costruzione dello strumento, seppure in una steremotrica piatta emulsione, rileviamo un tentativo di attribuzioni di forme fisiche che ben accontentano un antropomorfismo acquisito nella laconica realtà di antiche, note iconografiche.

Il tronco frontale, adeguato allo spirito dell' astrazione, trova la sua risoluzione, senza alcun termine di passaggio e di riempimenti interni, in una decomposta spinta di solidarietà triangolare con arrotondamento della parte inferiore; il collo e la testa, ridotte ad una parentesi rettangolare rastremata alla base, e con una lunghezza quasi pari a quella del corpo è protratta nell'incisione sino all' estinguersi della superficie piana della roccia. Le braccia, accennate nella marcata espansione arcuata delle spalle vengono assorbite nella massa così pure gli arti inferiori - attuazione di una sintesi che porta appunto alla scomparsa di alcuni elementi integrati nell' alterazione degli altri.

Ed è così che l'autore, in una istantanea degna di premiazione, ha maturato ed assolto il suo compito.

Avviandoci verso una nostra conclusione, riteniamo, in verità, che il simbolo-immagine: nel genere della sua stesura, nelle intenzioni inespresse e per tutti i particolari che la ratificano, non è poi tanto lontana da certi baricentri della formula astratta, che nel lontano neolitico e rotti animali sono spettacolari manifestazioni di arte. Pur non avendo a nostra disposizione confronti immediati, diretti e precisi con altre similari incisioni, ci consentiamo suffragarle, in una larga proiezione, con il rituale richiamo all' abbondante produzione degli idoli di pietra delle Cicladi, di Troia II, di Tell Ashmar. Ma il confronto più convincente lo ritroviamo in una analogia pur se ristretta alla sola forma, nelle numeerose statuette-idoli di argilla apparse nell' area dei Balcani e del Danubio, e precisamente con quelle prodotte all'inizio del neolitico, nel territorio rumeno dalla cultura Cris: - Perieni, cultura Duedesti: - Cernica, e dalla cultura Precucteni nella prima fase: - Zanesti - per passare alla cultura Vinca presso Belgrado, nell'idolo di Grhvo-Kormodin in Iugoslavia ed infine in fasi più tarde negli idoli di pietra del l' area spagnola di Garovillas de Alconetar e di Aviz. Le forme subiscono variazioni nelle singole contrade ma nel loro simbolismo, sono tutte legate ad un significato mistico-religioso attinente a vari culti, animati da impulsi della richiesta umana verso l'ignoto. Riportandoci alla concezione che ha ispirato la nostra figura, guardando dal nostro secolo nell'abisso del passato giova ora ricordarci del cerchio inciso del quale l'immagine antropomorfa è compendio.

Nella ritmica religiosa dell' amato neolitico, sovente l'idolo o l'ente comunque rappresentato, tra le sue molteplici funzioni dispensatrici di fecondità, di vita ecc., ha pure il potere di proteggere adeguatamente, secondo i desideri dell'uomo, la capanna ed il villaggio. Il cerchio inciso, nella peculiarità del segno: forma circolare chiusa aperta solo all'introduzione di uno spazio libero rettangolare, offre appunto l'immagine della pianta di una capanna o, se come noi siamo più propensi a credere, quella di un recinto posto a difesa di un villaggio. Infatti, l'alzata o rilievo periferico che accompagna il cerchio, nei punti ove la roccia offre un rilievo naturale, da un più approfondito esame, risulta recare tracce di lavorazione ai fini di una maggiore resa dell' elevazione rispondente all'impostazione e struttura dell'aggere ossia del sistema difensivo che veniva posto intorno al villaggio. La coppia di linee parallele, che potremmo interpretare come l'unico ingresso dell' abitato, sono tracciate al di sopra del rialzo, sopraelevate dalla base esterna.

L’argomento è ben lungi dall' essere esaurito; abbiamo solo costruito ipotesi e stabiliti pochi fatti, e anche se queste ipotesi partono da dati sicuri, rimane pur sempre il punto interrogativo.

Sino a questo punto ci siamo occupati di descrizioni, di misure, di collocazioni.

È tempo di dedicare un pensiero all'autore ed alla sua epoca.

E in questo primo esterno dell' arte, nelle nostre contrade, il disegnatore e agrimensore di Filiano ha tracciato il simbolo dell' organizzazione umana sia essa famiglia che tribù verso la permanenza, la stabilità nella forma più semplice di vita associata, di mutuo servigio: l'intesa sociale ha avuto il suo indizio. È forse uno dei momenti più splendidi nella storia del genere e della vita stessa. L’uomo si lega alla terra secondo un sistema di sussistenza, secondo cioè che l' economia delle varie comunità fosse quella dei cacciatori, di pescatori oppure di uomini che producevano alimenti con l'agricoltura. L’uomo con la proprietà della sua vita, " capanna, il fuoco domestico ed il villaggio, è così giunto ad un "presente", ad una esistenza quotidiana; un sole che sorge, quotidianamente, una sera che viene ogni sera, l'uomo muore e non torna più. Ed ora sente più che mai le forze invisibili che dominano la sua vita. Dà prova di sé in tutti i sensi, ma ha da competere con immenso regno della realtà: pioggia, siccità, malattie, movimenti della terra ecc., forze che sfuggono al suo potere, tutto ciò lo porta ad una rinunzia del dominio della realtà, e di conseguenza ad un profondo rivolgimento spirituale sentito nell'intimo di una commozione primitiva ed avvincente che determina un sentimento infinitamente elevato, e per questo inesprimibile con identificazioni nella realtà. Pertanto sono gestite e guidate da un orientamento intuitivo, spontaneo, di partecipazione verso un mondo che è solo negli occhi chiusi, verso ignote grandezze che possiedono l'enigma della vita.

E l'espressione artistica manifesta questo mutamento: essa non dà più forme fissate in una tranquilla concreta realtà, ma esaltazioni di commozioni del piccolo uomo spaventato da un avvenire fosco, da enti ignoti, tradotte e tracciate sulla roccia con segni-immagini senza alcun racconto.

Esse vanno lette solo nel simbolo: - significato ultimo delle cose, un simbolo indipendente, privo di segni accessori che chiede all'ignota entità il mantenimento, la fecondazione, la difesa e prosperità dei territorio. Insomma un simbololinea, che non è più un prodotto dell'arte per l'arte, ma che risponde solo ad una accorata richiesta, ad uno scopo, ad un servizio religioso. Lo stato delle nostre cognizioni non ci consente, almeno per ora, di poter organizzare e predisporre la importantissima profonda capienza preistorica di questo lembo di terra e i suoi probabili sviluppi nel tempo. Soltanto altri ritrovamenti, perseguendo nel nostro lavoro di ricerca, potranno colmare i tanti vuoti e sbalzi. Per quanto riguarda l'approccio cronologico delle raffigurazioni, limitandoci al solo graficismo ed alla nostra interpretazione, riteniamo di trovare disponibile alla collocazione del quadro l'orbita neolitica in una fase che solo un accurato proficuo lavoro di scavo potrà stabilire. Il discorso è aperto.

A poche centinaia di metri ad Ovest dal masso testè descritto, l'alta scarpata che un lungo tratto domina il corso del Bradanello, forma un' ansa, in cui, nei periodi di piena, l'acqua raggiunge un notevole livello. Nascosti da densa frangia di giunchi e di esili querce, quasi a livello dell'acqua, sorgono in questo punto grossi banchi di arenaria nei quali, anni addietro, furono praticati dei grossi tagli per l'utilizzo della pietra nelle costruzioni che hanno dato vita al sovrastante villaggio del Carpine.

Esaminando più dappresso le residue bancate, notammo su una di esse, denominata dai contadini "Pietra di Serena" (forse dal nome dell' antico proprietario degli attigui terreni), una sporgenza, un rilievo pronunziatamente rotondo. Per forma dimensione del masso e del rilievo vedere foto e dis. n. 4. Da una gibbosità tonda della roccia, risulta ricavata mediante accorto intervento di profonda incisione, una forma circolare in rilievo determinata da calotta sferica con leggera depressione centrale contornata da fascia larga in rilievo con profilo arrotondato. Si notano i punti ove l'incisione (arenaria molto tenera probabilmente a causa della costante umidità generata dal torrente), ha sfruttato al massimo il rilievo naturale per l'esecuzione del l' effigie lasciando inalterati e incorporati nel disegno quei volumi della roccia che per consistenza e spessore non hanno consentito uno spianamento utile al maggiore rendimento dell' effetto plastico.

Anche dinanzi a questa forma le difficoltà interpretative e cronologiche permangono, anzi, aumentano, in quanto il significato di un simbolo isolato non è quasi mai raggiungibile.

Esonerandoci dall' esprimere congetture ed ipotesi che chissà ove potrebbero condurci, noi, nella forma più semplice, accettiamo il simbolo come ipotetica rappresentazione di un corpo astrale; sole o luna - frontespizio del manuale religioso del neolitico, un culto che trova splendide variazioni in idee dominanti per il legame tra l'uomo, la terra l'immensità dello spazio ove vivono e si muovono gli astri che presiedono alla sua nascita, lo trovano in ogni contrada, l'accompagnano per tutta la vita sino alle soglie della morte. [incisione situata sul torrente (ancora oggi tutto l'ambiente da noi descritto è povero di acqua, molti contadini sino a due anni addietro bevevano quella del fiume), quindi l'acqua a portata di mano, si adatta eloquentemente ad un significato religioso chiamato alla sua conservazione.

Il primato di anzianità delle forme e rispettive posizioni faranno parte, insieme a notizie di recentissime scoperte di un altro articolo che non abbiamo ancora iniziato.

Oggi, le immagini legate alloro originario ambiente continuano a vivere nella contemplazione di una verità con l'aspettazione ed il rispetto dovuto ai sacri gesti: dell' universo.

 

 

NOTE

(1) Nel 1971, studiosi dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria dell'Università di Firenze. diretti dal Prof Edoardo Borzatti Von Lowenstern, hanno eseguito scavi nel riparo. Il risultato delle indagini e studi pubblicato nella "Rivista di Scienze Preistoriche" vol. XXVI, fase. 2 - Firenze 1971 dal titolo "Prima campagna di scavi al Tuppo dei Sassi (Riparo Ranaldi) in Lucania" i. Edoardo Borzatti Von Lowenstern riporta nel suo riassunto: ... Si da notizia dei risultati della prima campagna di scavi condotta nel Riparo. Le indagini sono state compiute con lo scopo di individuare, ove fosse possibile, alcune tracce che permettessero di datare le pitture parietali: purtroppo nel sedimento con industria preistorica non è venuto in luce alcun elemento atto a portare un qualche contributo in questo senso; è stata invece studiata una interessante industria microlitica con numerosi geometrici che si inquadra abbastanza bene in unafacies tardoide del mesolitico.

(da Potenza, Bimestrale dell’Amministrazione Provinciale, novembre-dicembre 1967)

(da Basilicata, Mensile di politica e cronache meridionali, 1978)