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Descrizione

Il Ponte Cerasale è situato in un luogo strategico di passaggio dall’area del Vulture al potentino, valica il torrente Padula-Salice in un punto molto prossimo alla sua confluenza nel torrente Sterpeto. Quest’ultimo trova origine alla Toppa di Atella, vicino Sant’Ilario, al Ponte di Cerasale, viene ingrossato dalla confluenza dei ruscelli Salice e dall’Imperatrice, da destra, e dai ruscelli Di Muzza, Maddalena e Insalata, da sinistra. 

Interesse storico

Sul Ponte Cerasale si registrano molte imboscate dei briganti, preferito in particolare per la sua ubicazione strategica rispetto sia all’area del Vulture che al potentino, dal ponte Cerasale in breve tempo attraversando il vallone Agromonte si poteva raggiungere il Bosco del Principe e lì sfuggire agli inseguitori e nascondersi facilmente. 
«Spesso [i briganti] si giovano dei ponti. Così al ponte Cerasale che attraversa la fiumara d’Atella successero vari scontri, varie grassazioni, e qui è inguadabile il fiume e incassato; e una serie di alture raggruppate ad oriente della strada sono favorevolissime a nascondere i predoni fugati, e una pianura di circa mezzo chilometro ad occidente si presta alle scorrerie ed agli attacchi; né mancano tutt’intorno boschi folti come sono quelli di Lago Pesole, di S. Ilario, delle Maurelle, di Bucito.»
In realtà quando Crocco, per controllare in maniera più diretta il territorio, divise la sua banda in 44 comitive guidata ognuna da un capo-brigante,assegnò ad ognuna una diversa zona di operazione; alla banda di Ninco-Nanco toccò il Ponte Cerasale. 
Del Zio riporta «Fra tutte le contrade frequentate dai briganti, il punto più pericoloso era dal Ponte di Cerasale sotto Atella sin dopo passato il bosco di Lagopesole. In questa contrada aveva preso quasi dimora fissa il feroce bandito Ninco-Nanco, e dominandosi dalle alture del Castello tutta la rotabile che da Atella raggiunge la vetta de Carmine presso Avigliano o viceversa, era facile vedere, sorprendere viandanti o truppe che dovevano raggiungere il capaluogo, Potenza» 
Nella sua autobiografia Crocco motiva la decisione di abbandonare gli assalti ai paesi scrivendo che «coll’aumentare delle forze regolari e coll’ordinarsi delle guardie nazionali, si dovette limitare l’azione nostra restringendola a più modeste proporzioni; non più attacchi di paesi fatti a viva forza, non più larghi avvolgimenti di centri importanti utilizzando numeroso stuolo di cavalieri, ma aggressioni di viandanti, assalti di corriere postali, occupazioni di piccoli villaggi, di masserie isolate, deludendo con astuzia e con rapide fughe gli scontri con le truppe, salvo a provocarli quando l’enorme disparità delle forze ci faceva sicuri d’una facile vittoria». 
Nelle cronache si fa menzione di due scontri avvenuti l’11 e il 15 di aprile 1862 sul Ponte Cerasale e nel bosco di Monticchio, a cui probabilmente partecipò anche Crocco. 
Il 19 maggio 1862 i Diari Rioneresi ricordano un inseguimento dei briganti ai danni di Pasquale Fortunato e di D. Oronzio Severini «i briganti lo hanno inseguito, tirandogli appresso delle fucilate; ma non sono riusciti né a raggiungerlo né a colpire alcuno dei suoi. Arrivato, dio sa come, adIscalunga, sempre con quella brutta gente alle spalle, si è subito rinchiuso in quel forte fabbricato, ove si trovava fortunatamente un posto di Guardia di 15 individui.» E’ sopraggiunto intanto anche il giudice Pelosi con circa 90 uomini di ritorno da Potenza. «I briganti vedendosi a mal partito, si sono dati alla fuga, cercando di guadagnare il bosco […] terminata la fucileria, perché la comitiva aveva preso il bosco, tutte le guardie trionfanti si sono anch’esse riunite nella Masseria d’Iscalunga, portando la testa di un brigante; e mentre in quel luogo si faceva festa pel riportato trionfo, la comitiva comandata da Ninco-Nanco e da Coppa è riuscita nel bosco e si è diretta al Ponte di Cerasale. […] Il giudice, credendo di non esservi più in pericolo, si è accompagnato coi soldati per restituirsi in Atella e quindi in Rionero; ma uscito appena sulla strada rotabile, si è accorto che verso il Ponte di Cerasale vi era gente a cavallo, e ritenendola per forza nemica , è tornato indietro per darne avviso alle forze d’Iscalunga […] i briganti sono fuggiti di nuovo ritornando nel bosco, e lasciando un altro cadavere sul terreno.» 
Bourelly riporta di un attacco, avvenuto il 17 luglio 1862 al Ponte Cerasale, ai danni di un tale Giuseppe Mecca da Avigliano che trasportava «un carretto con carico di sale e tabacco»; ed ancora in data 26 marzo 1863 un altro attacco per depredare di tabacco Domenico Mecca nelle contrada Grotta del Giglio, vicino al ponte; e in data 2 maggio 1863 del rapimento di Quaranta Pasquale da Melfi, avvenuto ad opera di «sei individui armati», fu pagata «alla banda a mezzo dei suoi parenti la somma di ducati 248 per essere liberato. Tortora era capo di quella comitiva, un biglietto da esso scritto, fu spedito alla famiglia del catturato». Nel 1864 le sorti iniziano a capovolgersi, sono infatti i briganti ad essere inseguiti «la mattina appresso (7 luglio) un’altra compagnia Bersaglieri vicino a Lagopesole inseguì dal Ponte di Cerasale fino a Sant’Ilario la stessa banda di Crocco forte di circa quaranta persone a cavallo. Per più di due ore continuò l’inseguimento; presi i briganti, da un vivo fuoco, alle strette si rifugiarono a Madonna di Pierno nel bosco di Bella». 

Suggestioni letterararie

Il ponte come il luogo del passaggio, come unione tra il luogo dello scontro e il luogo del rifugio. Un itinerario della morte e della speranza, su cui lo scontro è metafora della battaglia tra la vita e la morte. 
Il ponte come arcobaleno, con le sue diverse interpretazioni antropologiche, legame tra il cielo e gli uomini, ma anche tra gli uomini e il male, soprattutto nel Sud legato ad un animale demone: il lupo, evocazione del Maligno, «il diavolo va al mare per bere». Ponte che porta alla conoscenza di un tesoro, la pentola d’oro conservata al su termine, o che punisce questa voglia di conoscenza e di ricchezza; essere animato, dotato di potere. Questo aspetto animistico è riscontrabile nei divieti, nei tabù che porta con sé. In Basilicata, u male de l’arche, ossia la malattia portata dall’arcobaleno è l’itterizia. 
Carlo Levi, in Cristo si è fermato a Eboli, scrive: «Come si prende il male dell’arco? L’arcobaleno cammina per il cielo, e appoggia sulla terra i suoi due piedi, muovendoli qua e là per la campagna. Se avviene che i piedi dell’arco calpestino dei panni posti ad asciugare, chi indosserà quei panni prenderà, attraverso la virtù che vi è stata infusa, i colori dell’arco, e si ammalerà. Si dice anche (ma la prima ipotesi patogenetica è la più diffusa e credibile) che bisogna guardarsi dall’orinare contro l’arcobaleno: il getto arcuato del liquido somigliando e riflettendo l’iride arcuata del cielo, l’uomo intero diventerà una specie d’iride gialla. Per combattere l’itterizia, il malato deve essere portato, alla prima alba, su un colle fuori del paese. Un coltello dal manico nero deve essergli appoggiato sulla fronte, dapprima verticalmente poi orizzontalmente, in modo che ne venga una specie di croce. Nello stesso modo, appoggiando diversamente il coltello, devono farsi delle croci su tutte le giunture del corpo; mentre si pronuncia, ad ogni croce un semplice scongiuro. L’operazione va ripetuta tre volte, senza omettere nessuna giuntura; e per tre mattine consecutive. L’arco allora si ritira, di colore in colore, e il viso del malato ritorna bianco.»